CCCP – Fedeli alla Linea: la recensione del concerto di Roma

Scritto da il 15 Giugno 2024

CCCP – Fedeli alla Linea

Roma, 13 giugno 2024, Ippodromo delle Capannelle

Live Report

Ph. Guido Harari

E venne il giorno. O meglio la Notte. È il 13 Giugno dell’anno del Signore 2024. I CCCP-Fedeli alla Linea si esibiscono nella Capitale, assenti giustificati: Presidente del Consiglio e Papa, avvistati in Puglia. Biglietto virtualmente in tasca da mesi, eccoci qua. Non poteva essere altrimenti.

Una formalità? O una questione di qualità?  Entrambe le cose, o magari nessuna. Magari un bisogno diffuso di chiudere un magnifico cerchio: siamo al cospetto dei CCCP, signori! Ogni singolo brano dei CCCP è importante. La scaletta è un colpo al cuore. Una trentina di colpi al cuore, per l’esattezza.

Con italico ritardo, poco prima delle 22 Depressione Caspica apre le danze. Nell’aria un misto di trepidazione e comprensibile diffidenza. Nessuno più di Giovanni Lindo Ferretti incarna le contraddizioni dell’uomo occidentale – aggiungerei – italiano. È Don Camillo e Peppone fusi insieme. Lui è noi. Noi siamo lui. L’unica differenza è che il Lindo, alla venerabile età di 70 anni, con tre sillabe in croce si mette in tasca circa tre generazioni di aspiranti rockstar nostrane.
Rozzemilia, Tu Menti, Per Me Lo So, Morire, Stati di agitazione… ogni singolo brano dei CCCP è importante, tanto che a questo punto del concerto ti assale il dubbio di non averli mai veramente capiti i CCCP. In quel preciso istante Ferretti alza il bavero della giacca, e spostando solo pochi centimetri di stoffa, ecco che diventa Don Camillo. Libera Me Domine, Madre…L’emerita soubrette Annarella in abito da suora e cero d’ordinanza in mano completano il quadro.
Estasi.
Fatur e Zamboni, in tutto questo? Il primo sembra quello che si diverte di più. Rimbalza da una parte all’altra come una scheggia impazzita, il secondo il più compassato. Preciso alla sei corde, serio. Un direttore d’orchestra che, però, non ha bisogno di dirigere granché; gli splendidi musicisti che accompagnano la band sanno esattamente cosa fare e come farlo.

Con Maciste Contro Tutti, ecco rientrare in scena Peppone: “Soffocherai tra gli stilisti, imprecherai coi progressisti, maledirai la Fininvest
Di che stiamo parlando?

C’è tutta la storia, passata e recente qui stasera, ma c’è soprattutto il presente. Non può essere un caso che la “cellula dormiente” si sia risvegliata proprio ora. Abbiamo tutti bisogno di cantare in coro “Oh battagliero!” di scapocciare su Valium Tavor Serenase e quando Annarella entra in scena nascosta da un burqa sulle note di Radio Kabul, allora diventa chiaro, persino lampante il motivo che ci ha radunati qui stasera in 20.000.

Siamo spaesati e la figura esile, tragica di Ferretti incarna come nessuno mai questo spaesamento. Sono quaranta e passa anni che si porta sulle spalle questo peso. È il nostro eroe, nel bene e nel male. Lui è noi. Noi siamo lui. La differenza è che lui ha scritto Punk Islam’, Guerra e Pace, And The Radio Plays… Mio Dio che concerto!

Quando l’inconfondibile intro di basso lancia Fedeli alla linea senti quasi sopraggiungere la fine. Macché, ci stiamo appena scaldando!

Curami fa saltare in aria tutto il maledetto ippodromo. Ora Annarella è l’Italia. Bellissima, immortale quanto Emilia Paranoica liberata dagli spiegoni di Scanzi.

Una sedicente cover di Bang Bang, con compiaciuta ironia, introduce Spara Jurij. Che meraviglia vedere grandi e piccini pogare gioiosamente sotto al palco. Io per l’occasione ho scelto di stare un po’ in disparte, complici una scelta dì calzature da principiante e un banale istinto di conservazione: mi attende una tre giorni niente male, di cui renderò – se sopravvivo – conto su questi schermi. Pertanto all’erta sto, come un russo nel dombass, o come un armeno nel Nagorno-Karabakh, per citare uno a caso.
Ora la scena è tutta per Fatur.

La sua performance si può riassumere in due parole: Vota Fatur.
Annarella la cantano davvero in 20.000 e quelli che, a stento, finora hanno trattenuto le lacrime a questo punto devono cedere. Devastante.

Per riprendersi ci vorrebbero chessó! Due/tre perle dei CCCP… e allora ecco servite Mi Ami?, Io Sto Bene e Allarme, su un piatto di piombo.
Spetta a Zamboni l’onore e l’onere di chiudere con l’omaggio ai Daf e, in sostanza, a sé steso e alla sua band. Kebabtraume è un necessario momento di leggerezza Amandoti, per voce e violino e ventimila voci la chiusura perfetta di un concerto memorabile di cui si parlerà per anni ed anni. E quanto è stato faticoso contenere pensieri e emozioni in questo già verbosissimo report. Ma di quelle fatiche “ridere nel pianto” o qualcosa del genere. A Melpignano però, ci andremo con ai piedi gli anfibi. FELICITAZIONI!

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