Gli Slowdive e il mistero dei millennials

Scritto da il 3 Luglio 2024

Slowdive

Roma, 2 luglio 2024, Auditorium Parco Della Musica

Live Report

 

 

Siamo soli nell’universo? Il mondo conoscerà mai la vera pace? Perché gli Slowdive hanno dovuto aspettare più di trent’anni per raccogliere gli onori che meritano?

Quesiti che turbano il sonno delle molte eminenze grigie nella Cavea dell’Auditorium Ennio Morricone stasera. Sui primi due ognuno ha di certo la sua idea. Il terzo rimarrà un mistero insondabile.

Azzardiamo delle ipotesi:

1) troppo difficile buttare giù dal trono dello shoegaze i My Bloody Valentine

2) gli shoegazers di tutto il mondo erano-appunto-troppo presi a guardarsi le scarpe da non curarsi troppo degli Slowdive.

3) (rabbrividisco) i cinque di Reading erano troppo giovani e belli per essere presi sul serio.

All’arrivo alla Cavea, una visione che – udite udite! – ha dell’incredibile: schierati nelle prime file, decine di millennials. Se, giustamente, non mi credete posso a richiesta produrre evidenza fotografica. La folla delle grandi occasioni non c’è, ma ci sono loro e questa è già una grandissima notizia. Su questo ci torneremo dopo perché alle 21.20 l’intro dì Shanty segnala l’inizio del concerto. Alle 21 e 21 siamo già in orbita.

Da qui in poi, immaginate tutta una serie di aggettivi a tema spazio profondo che da soli basterebbero a restituire l’atmosfera del live. Io me ne terrò solo uno per il finale.

Le voci sussurrate di Neil Halstead e Rachel Goswell sono incollate l’una all’altra. Il ritmo aumenta con Star Roving. Si sente, soprattutto nelle chitarre, l’amore per New Order e Cure, il basso di Nick Chaplin sembra arrivare direttamente dalle session di Pornography. Simon Scott apparentemente è con la testa tra le nuvole, ma il suo drumming è preciso e potente. Christian Savill infine è il principale artefice del muro di suono prodotto dal quintetto ed è perfettamente calato nel ruolo; non alza mai lo sguardo dalla chitarra e dalla pedaliera. Filologico.

Catch the Breeze, in questa calda serata di inizio di luglio è-rullo di tamburi-una ventata d’aria fresca! (Scusate).

Skin in the Game e Crazy for You invece sono la quiete prima della tempesta, che puntuale arriva con Souvlaki Space Station. Psichedelica, sognante. Echi, nel senso più letterale del termine, pinkfloydiani con una spruzzata di Liz Fraser. La sintesi definitiva dello shoegaze. Difficile chiedere di più, anche se a un certo punto questa benedetta stazione spaziale andrà pure ormeggiata da qualche parte. Chained to a Cloud. Appunto. Chaplin molla il basso per arpeggiare sul synth.

Ma in questi Anni Venti 2.0, a quanto pare l’apprezzamento di un live si misura soprattutto in smartphone. Perciò eccoli, a centinaia, levati in aria per immortalare la gigantesca pillola marchiata SD 1-989 che volteggia sulle teste del gruppo. Obbligatorio a questo punto fare menzione dei visuals che accompagnano l’esibizione. Stilosi, minimali e con qualche coltissima citazione dei maestri della grafica in movimento dei 60s. Sugar for the Pill apre a una sequenza da crepacuore: Kisses, dall’ultimo Everything is Alive, la classica Alison, la gloriosa When the Sun Hits, con un finale da brivido incorniciato da filo spinato.

È il momento dell’omaggio a Syd Barrett. La voce di Rachel è più eterea che mai, il ponentino le fa svolazzare il lungo vestito nero e la frangetta bicolore. Esce di scena senza una parola, lasciando il palco ai compagni, ed è un magnifico crescendo che culmina con il volto di Syd che sembra benedire dall’alto questa versione extra-large di Golden Hair. Fine.

Pochi minuti per l’immancabile bis. Slowdive, Slomo e 40 Days chiudono definitivamente la serata, ed ecco il mio aggettivo definitivo: SIDERALE.

Ne vorremmo cento, mille di concerti come questo. Va detto che questa stagione live è stata tutto fuorché avara, e se non lo fosse stata magari stasera alla Cavea ci sarebbe stato il pienone, ma fa nulla. “It took a while”, come fa notare Rachel, ma che bello esserci. “It matters where you are”. Davvero.

Le domande poste a inizio serata però, quelle non hanno avuto risposta.

Anzi, un ulteriore dubbio si è fatto strada: come spiegare l’inattesa e gradita presenza dei millennials? Stai a vedere che la risposta al terzo quesito sta proprio qua: se gli Slowdive fossero stati davvero troppo avanti per la loro generazione? Se fosse proprio la loro la musica perfetta per questi anni? Ci piace pensarlo, anche perché, per dirne una, i Fontaines D.C. hanno suonato nella stessa location giusto qualche giorno fa, e in confronto sembrava di stare a Villa Arzilla.

Oppure chissà, più di qualcuno ha iniziato ad accorgersi che la musica che gli gira intorno non è un granché, e ha iniziato un sano processo di selezione. Per dirne un’altra: è notizia di questi giorni che alcune cosiddette star nostrane sono state costrette a cancellare i tour negli stadi. Una coincidenza, certo. Però anche questo ci piace, forse perché siamo inguaribili romantici e insopportabili snob in egual misura.

Quello che è certo è che stasera ci sentiamo davvero un po’ meno soli nell’universo, e a rendere i nostri sogni un po’ meno agitati ci saranno ancora gli Slowdive.

 

 

 

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