Interpol: recensione concerto di Roma, 28 giugno 2023

Scritto da il 1 Luglio 2023

Interpol

Roma, Auditorium Parco della Musica, 28 giugno 2023

Live Report

Il tardo pomeriggio romano stenta a decollare, in una pigrizia mista a caldo e spossatezza. La Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, ad un’ora dall’inizio dello show, è ancora inspiegabilmente senza spettatori. A parte i fedelissimi al parterre, già posizionati attaccati alle transenne, e qualcun altro a riempire gli spazi subito dietro, le tribune appaiono spoglie e vuote.

Noi presenti ci guardiamo un po’ increduli ma siamo fiduciosi che, anche all’ultimo minuto, tutti gli angoli verranno riempiti. Ed è esattamente ciò che succede dalle 21 in poi.

Pubblico decisamente “adulto” quello di Paul Banks e soci, tante maglie dei Joy Division e dei Cure e tanti nostalgici della prima ondata di e dark-wave. Del resto, proprio i newyorchesi Interpol sono stati probabilmente i più grandi artefici di quel revival new-wave che tanto prese piede nella prima decade degli anni duemila, guadagnando senza ombra di dubbio il legittimo titolo di eredi delle band di Ian Curtis e Robert Smith, ma strizzando anche l’occhio al pop di Morrissey e degli Smiths.

Dal 2002, anno in cui venne pubblicato Turn on the Bright Ligths, al 2022, anno di uscita di The Other side of Make-Believe, gli Interpol hanno dato vita a sette album da studio, tra successi planetari, vendite inaspettate e tour con date da tutto esaurito.

Il concerto si apre con Toni, singolo che ha lanciato l’uscita dell’ultimo album ormai più di un anno fa e prosegue, con grandissima approvazione da parte del pubblico, con , uno dei (tanti) brani di successo estratti da Turn on the Bright Ligths.

Dopodiché si spegne la luce. Ma non in senso metaforico. Il concerto viene interrotto e una persona del service ci annuncia di avere pazienza “finché non capiamo cosa c’è che non va nell’alimentazione”.

In effetti, durante l’esecuzione dei primi due brani, molti di noi avevano avuto la percezione che qualcosa non funzionasse a dovere, ma nessuno pensava si dovesse ricorrere a tanto.

Dopo un quarto d’ora abbondante di prove, controlli, aggiustamenti e tentativi il concerto riprende. Banks ci ringrazia per la pazienza dimostrata e attacca con If you really love nothing, per poi passare al trasporto di Narc e Into the Night.

Le canzoni scorrono fluide, piano piano le difficoltà tecniche sembrano superate e il concerto decolla.

Man mano che i minuti trascorrono assistiamo all’essenza degli Interpol e di quel nuovo filone di cui sono senza ombra di dubbio i capostipiti: chitarre che si incastrano perfettamente, increspature, ritmi ossessivi e melanconici, immagini offuscate, chiaroscuri.

>Appare evidente come il riferimento più chiaro ed immediato siano proprio i Joy Division, grazie anche al timbro cupo e baritonale della voce di Paul Banks, ma i suoni degli Interpol appaiono meno scarni e decisamente più pieni e stratificati, merito anche del chitarrista, Daniel Kessler, e dei suoi riff in grado di conferire ai brani, ogni volta, delle caratteristiche differenti, ora ipnotiche ora potenti, con richiami ai Cure di Seventeen Seconds, allo shoegaze, ai Sonic Youth e, perché no, anche ai Velvet Underground.

Take You on a Cruise, Fables, la travolgente Evil con il suo ritornello martellante che incendia e fa saltare veramente tutti i presenti in platea. E poi ancora Pioneer to the Falls/i>, My Desire, Rest My Chemistry, C’mere e la struggente No I in Threesome, con le sue vibrazioni nostalgiche che ci riportano ad una dimensione romantica ma sofferente.

La parte finale dello show travolge gli spettatori in un tripudio di euforia ed entusiasmo, molto probabilmente perché a farla da padroni sono soprattutto pezzi provenienti discografia più datata della band: Roland, con le sue schitarrate “rumorose”, The New e PDA con i suoi saliscendi continui chiudono la prima parte del concerto, e tutti rimaniamo in attesa dei bis che, ovviamente, non deluderanno le nostre aspettative.

Dopo pochi minuti, Banks e soci risalgono sul palco ed eseguono tutte d’un fiato Lights, Stella Was a Diver and She Was Always Down, brano dai riff spinti e dalle ritmiche serratissime, e chiudono con Slow Hands, singolo apripista dal loro secondo album Antics, ruvido e accattivante.

La band conclude l’ultima tappa del tour italiano salutando con un ““Grazie”>” anglofono e la promessa di tornare presto nel nostro paese.

La scaletta, proprio a voler fare i pignoli, è stata forse penalizzata dai problemi e dalle difficoltà tecniche occorse dopo i primi due brani, ma ha comunque soddisfatto la maggior parte dei presenti alla Cavea.

Avrebbero potuto suonare più a lungo? Forse.

Avrebbero dovuto dare spazio a più canzoni cult della loro discografia? Può darsi.

Fatto sta che gli Interpol, pur avendo già abbondantemente detto tutto ciò che di importante avevano da dire svariati anni fa e pur avendo sfornato un ultimo album che risulta divisivo e non immediato, ribadiscono con determinazione i concetti e si rivelano, ancora oggi, una delle migliori band da ascoltare live.

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