Dorthia Cottrell: recensione di Death Folk Country

Scritto da il 14 Luglio 2023

Dorthia Cottrell

Death Folk Country

(Relapse Records)

Dark-Folk

Nessuno potrà mai accusare Dorthia Cottrell di pubblicità ingannevole. Il titolo del suo secondo album (seguito dell’omonimo pubblicato nel 2015) descrive il contenuto in maniera così sinteticamente ineccepibile
da sconfinare nello spoiler vero e proprio.

La voce dei Windhand, (band della Virginia, impeccabilmente dedita ad un doom suddista, madido e limaccioso) distilla una pozione druidica che rallenta la percezione sensoriale dell’ascoltatore, imprigionandolo in
un sottosopra crepuscolare e torrido, come un abbraccio alcolico tra country e stoner.

Alternando ballate di morte ed amore, dense come acqua di palude, le tracce di Death Folk Country scorrono l’una nell’altra, come pigri torrenti nella notte in bianco e nero di una nebbiosa provincia
americana illuminata da una silenziosa luna di ancestrali inquietudini blues.

Dolente, primordiale, ineluttabile come il bacio di una strega al lume di candela.

The Weave – The Weave

Caratterialmente incline al basso profilo mediatico, Graham Coxon ha lucidamente scelto di affidare i propri passi all’impervio sentiero della lentezza.

Da sempre portatore irrequieto di una attitudine aspra, empaticamente imparentata con gli spigoli dei Pavement, si è subito reso conto che allontanarsi dalla country house dei Blur non imponeva l’esilio in una
nuova, distante contea.

Si è così arrampicato fino alla cima di una collina ed ora può serenamente osservare la casa da una differente angolazione, senza avvertire l’istinto di demolirla.

Indifferente al richiamo della contemporaneità e mosso da una schietta ruvidità emotivia, Coxon (che è al contempo nemesi perfetta e anima gemella dell’elegante edonismo di Albarn) scopre oggi i confini di una
nuova preziosa affinità che esplora insieme a Rose Elinor Dougall.

Complice una seducente angolosità che va a sostituirsi perfettamente all’implacabile schiettezza melodica di Damon, la ex Pippetes dimostra di possedere attitudine e talento adatti per contribuire a declinare un
pop aristocratico che resta accessibile nonostante la evidente allergia alle consuetudini.

Chi ha dimestichezza anche con la sua discografia solista non resterà troppo stupito, per gli altri è obbligatorio il recupero di Stellular (2017) e A New Illusion (2019).

La sintesi di due talenti così peculiari conduce in direzioni inevitabilmente distanti dall’estetica dei Blur, ma il risultato è solo differentemente affascinante.

Il nuovo equilibrio impone anche una ridefinizione del ruolo della chitarra che Graham, spesso, lascia nella custodia rivolgendo le proprie attenzioni ad un sax posseduto dallo spirito di Bowie, ai synth ed al
liuto.

Agresti nell’animo ma oniricamente inquieti, i The Weave sognano una versione glam ed al rallentatore degli XTC per poi mutare, al risveglio, nella variante non claustrofobica degli ultimi Artic Monkeys.

Elegantemente dense ed impeccabili, queste 10 tracce (14 nella deluxe Edition disponibile in esclusiva solo presso lo store di Rough Trade) sono la mappa disegnata da due artisti che gettano via la bussola e si
tengono le stelle.

Lontani da casa, ma mai così vicini al cuore come oggi.

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